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DIMEZZARE I TEMPI DELLA GIUSTIZIA È POSSIBILE

Lunedì, 24 Dicembre, 2012
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Addio al multitasking, meglio fare una cosa per volta: ecco il metodo per dimezzare i tempi della giustizia italiana. È questo il principio che l'economista Andrea Ichino, con il sostegno della Fondazione Giuseppe Pera di Lucca, sperimenterà nei tribunali, sezione civile, di Lucca e Bologna, dopo il successo ottenuto, in via preliminare, alla Corte d'Appello, sezione Lavoro, di Roma.

Rispondere al telefono mentre si sta scrivendo un'email. Poi, tra un cenno al collega, un sms sul cellulare e la ricerca affannosa di un documento andato perso tra le pile di fogli sulla scrivania, pensare a quella pratica da chiudere, a quell'altra lasciata a metà e a quella che bisogna ancora iniziare. Mutuata dalla terminologia informatica, dove indica la capacità dei processori di eseguire più programmi in contemporanea, multitasking è quella parolina sempre più presente tra i colleghi, nei suggerimenti dei consulenti del lavoro e pure nei curriculum vitae. Il saper gestire più cose alla volta, infatti, sembra essere diventato il requisito fondamentale per fare bene e velocemente il proprio lavoro.

Ma è davvero così? A quanto pare no: fare troppe cose insieme non è produttivo. Anche per i giudici, che si trovano spesso ad affrontare contemporaneamente centinaia di cause. Una sperimentazione condotta presso la Corte di Appello sezione lavoro di Roma, infatti, dimostra che se il magistrato si concentra su un numero molto minore di controversie si ottengono netti miglioramenti, con circa il 20 per cento in più di casi esauriti al mese. Si tratta di un risultato importante: per le aziende e i lavoratori significa una più veloce definizione dei procedimenti e per lo Stato un risparmio sui risarcimenti.

Ci si può chiedere perché saltare da un'attività all'altra riduca la produttività. In parte perché crea confusione e fa perdere la concentrazione, ma c'è anche una ragione completamente meccanica. «Supponiamo che per finire il progetto A – spiega Andrea Ichino – ci vogliano due giorni e altri due giorni per finire il progetto B. Se io lavoro i primi due  giorni sul progetto A e poi dopo mi dedico interamente al progetto B finirò A al secondo giorno e B al quarto. Questo è il modo efficiente di procedere. Supponiamo invece che io lavori un giorno su A, poi un giorno su B, poi ritorni ad A e lo finisca, e poi il quarto giorno finisca B. Quanto sono durati i due progetti? Adesso B ha impiegato quattro giorni come prima, ma A è arrivato a conclusione in tre. Quindi il multitasking ha rallentato A senza, di contro, accelerare B».

Il principio del fare una cosa per volta verrà dunque sperimentato anche nella Giustizia italiana, introducendo questo nuovo metodo nel lavoro dei giudici. Le cause pendenti per ogni giudice sono quasi mille e mediamente un giudice lavora contemporaneamente a 400 cause, ciascuna delle quali richiede svariate udienze per concludersi.

 «Tornando all'esempio – continua Ichino – è come se il giudice facesse un'udienza per la causa A, poi passasse alla causa B, poi alla causa C. La nostra raccomandazione, invece, è che il giudice si concentri su un numero molto minore di cause: certamente più di una alla volta, perché ci sono i tempi morti dovuti ai rinvii necessari alle parti.

Tenere aperti 100 casi, ma non i 400 attuali. Così facendo si dovrebbe ottenere una più rapida definizione dei procedimenti: dopo l'inizio della sperimentazione avvenuta a Roma, quando il collegio “sperimentale” di giudici del Lavoro si è concentrato su pochi casi alla volta, la sua produttività è aumentata rispetto ai collegi non sperimentali. Questo incremento, che noi calcoliamo separatamente a parità di impegno del giudice, è pari al 20 per cento dei casi esauriti al mese. E questo miglioramento ha luogo nonostante la presenza di un arretrato significativo». È lecito chiedersi cosa accada ai restanti 300 casi: secondo il metodo “una cosa per volta” andranno lasciati chiusi fino a quando il giudice non ha definito i casi aperti in precedenza. Così facendo non verranno danneggiati questi 300 casi “rinviati”: l'esempio ha dimostrato che se il progetto B viene aperto solo a terzo giorno, esso viene definito comunque al quarto giorno. In altri termini, posticipare la data di apertura del progetto B non pospone la sua data di completamento.

Il progetto è stato presentato da professor Ichino nel corso di un incontro svoltosi nella sede del Tribunale di Lucca, in via Galli tassi, al quale hanno partecipato, tra gli altri, Marco Cattani, membro del direttivo della Fondazione Pera, Andrea Tagliasacchi, direttore della Fondazione, e Alessandro Garibotti, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Lucca.

La Fondazione Giuseppe Pera di Lucca, nata nel 2010 per occuparsi di diritto del lavoro e per attualizzare il pensiero di Giuseppe Pera, sostiene questo progetto, lanciato dall'Università di Bologna, per la valutazione dei tempi della giustizia. «L'esperimento già realizzato a Roma – sottolinea l'avvocato Marco Cattani - ha dimostrato come sia possibile ridurre i tempi della giustizia. Se i prossimi esperimenti confermeranno questi risultati ci sembra che questo metodo di lavoro possa trovare ampia applicazione negli uffici giudiziari italiani. Ridurre i tempi della giustizia italiana, infatti, è importante: in uno stato di diritto la giustizia deve essere rapida o almeno non secolare».